Il 4 ottobre scorso, nella chiesa cappuccina di Fidenza si è celebrata solennemente la festa di san Francesco d’Assisi. La messa è stata presieduta dal vescovo Ovidio che ha sottolineato alcuni tratti peculiari del santo a cui ispirarsi per vivere con coerenza la nostra fede.
Ha sottolineato la profonda umiltà da intendersi come disponibilità di un cuore puro ad accogliere e a vivere autenticamente il Vangelo. Al termine della funzione, è stata benedetta una nuova campana, fusa per celebrare i 450 di presenza cappuccina in Fidenza e i 50 anni dell’elevazione a parrocchia della chiesa francescana. Il parroco, padre Stefano, ha spiegato a sua eccellenza il significato di questa iniziativa. La campana è la voce che richiama il popolo alla preghiera, lo raduna invitandolo alla mensa eucaristica, lo accompagna nei momenti felici e dolorosi della vita, fa memoria di esistenze che si incamminano verso l’ abbraccio del Padre. Durante la solitudine della pandemia ha espresso una vicinanza e una presenza costanti. Storicamente, la campana del convento cappuccino è legata alle memorie dolorose della seconda guerra mondiale; quando gli aerei compivano i loro raid di morte, i suoi rintocchi avvisavano i fidentini affinché si mettessero in salvo; cessato l’allarme, accompagnava i sopravvissuti alle loro case.
L’antica campana, un Sì, tuttora presente sul campanile, è potente testimone di una lunga storia di presenza cappuccina, infatti reca incisa una data, 1820, e una scritta che attesta la presenza francescana in Fidenza subito dopo l’abolizione del codice napoleonico che aveva decretato la soppressione degli ordini religiosi.
“Pace e bene”, il saluto squisitamente francescano sembra uscire prima dal cuore che dalle labbra di fra Antonio Silvestrini, aperto e cordiale approdato di recente nel convento fidentino arricchendo la comunità di una presenza preziosa di cui i borghigiani sentivano la mancanza. Nella foto: fra Antonio
Il religioso ha in pratica raccolto il testimone di due indimenticabili confratelli che con la loro scomparsa hanno lasciato un vuoto che sembrava incolmabile, fra Severino Davoli e padre Edoardo Spiessens.
A fra Antonio è stata affidata la mansione di questuante svolta per decenni da fra Severino e, nello stesso tempo, seguirà le orme di padre Edoardo che visitava persone, non solo anziane, bisognose di conforto.
La comunità parrocchiale saluta Padre Lucian e Padre Daniel inviati a realizzare la loro missione vocazionale in altra sede. La nostra gratitudine li accompagna insieme alla certezza del bene che sapranno suscitare. Li abbiamo affiancati per pochi mesi, un assaggio di vita che ci ha permesso di sperimentare la loro profonda dedizione alla cura della liturgia nelle celebrazioni domenicali caratterizzate da omelie sempre attente a chiarire la sorprendente vitalità della Parola capace di rigenerare e riscattare dall’apatia dell’abitudine, risvegliando il desiderio di impegnarsi per migliorare.
Grazie per questa bella testimonianza di fede!
La messa vespertina di sabato 26 novembre ha registrato una diffusa emozione trai partecipanti. In questa messa vigiliare, il celebrante, Padre Stefano, ha accolto gli sposi che hanno festeggiato l’anniversario di nozze e ha ricordato coloro che non potevano essere presenti. Questa felice consuetudine parrocchiale è stata ripresa dopo l’interruzione forzata dovuta alla diffusione della pandemia. La messa inaugurava il nuovo anno liturgico introducendo i fedeli all’Avvento. La scelta della data non è stata casuale. L’Avvento è un tempo di consapevolezza e di pienezza, perché Cristo è venuto! Diventa un tempo fecondo e operoso, di impegno e testimonianza, un oggi in cui è richiesto di rivestirci dell’abito nuziale, la veste bianca di un rinnovato battesimo che impegna e promuove la nostra realizzazione di figli di Dio. Solo assumendoci la responsabilità di mantenere la veste bianca, di indossare l’abito nuziale, saremo chiamati alla festa, invitati attesi e amati (Mt 22, 9-12). Padre Stefano ha sottolineato l’importanza di richiamarci reciprocamente al presente, all’essere pronti oggi, al non demandare ad altro tempo - di cui non siamo padroni- l’amore, il servizio, il perdono, la carità con cui si fortificano le relazioni profonde, durature, consapevoli di un sì, anche faticoso, che si rinnova nella quotidianità, ma resta fedele.