È usanza nota e diffusa consumare lenticchie durante il cenone dell’ultimo dell’anno: da dove nasce questa tradizione? Lo scopriamo, analizzando le peculiarità che rendono questo legume così ‘ricco’, soprattutto dal punto di vista nutritivo.
La lenticchia è una pianta erbacea annuale della famiglia delle leguminose; presenta steli dritti e ramificati che raggiungono l’altezza di 70 centimetri. Le foglie terminano con un viticcio, simile a quello delle viti. Ha fiori dal colore bianco oppure blu pallido che sono riuniti in grappoli; la fioritura ha luogo tra i mesi di maggio e luglio. I frutti sono dei baccelli appiattiti ed al loro interno contengono due semi: si tratta della parte edibile, dalla forma a lente lievemente bombata, il cui colore varia da tonalità più pallide (verde chiaro, rosa, biondo) a gradazioni più scure (verde scuro, bruno, violaceo).
Le lenticchie sono ricche di proprietà nutritive importanti per la salute. Queste leguminose abbondano infatti di proteine vegetali ed anche di carboidrati; sono fonte di vitamine (in particolare A, B1 e B2, C e PP) e di sali minerali (soprattutto Ferro). Sono ottimi antiossidanti; inoltre, l’elevato contenuto di fibre consente di regolarizzare l’attività intestinale e si rivela un valido aiuto nel mantenere il colesterolo sotto controllo. Lo scarso contenuto di ‘grassi cattivi’ rende questi semi degli alimenti perfetti per la prevenzione dell’insorgenza di malattie cardiovascolari.
A Capodanno si è soliti consumare lenticchie poiché, si dice, portino fortuna e ricchezza. Nonostante si possa credere che questa usanza dipenda unicamente dalla superstizione, esiste una spiegazione per questo rito propiziatorio, che ha origini antichissime. La lenticchia può fregiarsi del titolo di primo legume ad essere mai stato coltivato dall’uomo: lo sfruttamento di questa pianta ha avuto inizio circa nel 7000 a.C.; i Greci ed i Romani ne erano ghiotti consumatori. Proprio ai Romani si deve la consuetudine di cibarsene per San Silvestro: all’inizio del nuovo anno, infatti, era usanza donare una scarsella, ovvero una piccola borsa di cuoio da legare alla cintola, contenente appunto delle lenticchie. Il dono voleva simboleggiare l’augurio che i semi si trasformassero in monete sonanti e che queste riempissero appunto la scarsella di chi aveva ricevuto il regalo. Questa assonanza metaforica tra il seme ed il denaro è dovuta innanzitutto alla forma del legume, che somiglia appunto ad una moneta, ma anche al suo ‘ricco’ valore nutrizionale, ben noto fin dai tempi più antichi. La scarsella con all’interno le lenticchie era considerata una vera e propria ricchezza per chi non poteva permettersi di comprare carne durante il lungo e freddo inverno: i meno abbienti potevano fare affidamento sulla riserva di cibo e proteine fornitegli dal legume dato loro in dono. In Italia esistono numerose varietà di questa pianta e molte di queste sono considerate prodotti tipici e possono fregiarsi della denominazione di origine; tra le più rinomate sono sicuramente da ricordare quella di Altamura e quella di Castelluccio di Norcia, entrambe ad Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.). Vorrei concludere questo articolo, l’ultimo per il 2019, augurando a tutti i lettori di poter trascorrere delle Festività serene in compagnia dei propri cari e delle persone amate. Durante questo periodo abbiate particolare cura del vostro prossimo e rivolgete un pensiero soprattutto ai più bisognosi; siate il seme che porta ricchezza nella scarsella dei meno fortunati. Buone Feste.
Pier Paolo Ferrari